La Gazzetta di Venezia : “Addio giovinezza!”

Teatro quasi di gala, ieri sera, per la prima di «Addio giovinezza!» di Camasio e Oxilia. Un «esaurito» in platea, quasi tutti i palchi occupati, loggione affollato e fremente: fremente (d’aspettazione e d’impazienza a cagione dei troppo lunghi intervalli e, prima, dell’eccessivo indugio avanti l’inizio della rappresentazione. Quello della poca o punta puntualità teatrale è un vecchio vizio veneziano al quale soltanto a la Fenice è stato posto un freno. Anche ieri sera, alle 20,15 c’era pochissima gente nella sala; alle 20.30, allorché sono state spente le luci, l’afflusso del pubblico s’iniziava appena; alle 20.45 c’erano ancora dei comodisti che accedevano alle poltrone scalpicciando, pestando i piedi di coloro ch’erano già seduti, disturbando con olimpica strafottenza la recita. Pare persino impossibile che tante brave persone non si rendano conto che, così facendo, dànno una patente prova di mala educazione.
Ma veniamo alla recita. Si dava, dunque, “Addio giovinezza!”, una commedia su cui, dopo quasi quarant’anni di vita arciprospera, non s’è ancora in grado di formulare un pacifico giudizio. Commedia più fortunata che bella: la felice e spavalda improvvisazione di due giovani che, rapiti immaturamente dalla morte, manco hanno avuto il tempo di inebriarsi del suo straordinario successo. Gli è che «Addio giovinezza», a parte i modesti pregi artistici, è intrisa d’un sentimentalismo spontaneo e verace che va diritto al cuore; ed è traboccante di quella sincerità un po’ ingenua ma veemente di cui s’è venuti, a poco a poco, perdendo lo stampo. E’ il genere nostro, italiano, codesto: gaiezza e sentimento; sorrisi e lacrime; esplosioni sentimentali e subiti ripiegamenti nella malinconia delle rinunce: e quei pudore, quelle morbide penombre, quella semplicità di concezioni, quell’onestà dignitosa e senza fronzoli, che erano lo stile di vita della nostra piccola borghesia, del nostro popolo lavoratore non ancora turbato (trenta o quarant’anni fa) da tante infatuazioni, da tanta esterofilia, da tante suggestioni insincere.La Compagnia dell’Estate della Prosa ha avuto il buon gusto di recitare «Addio giovinezza» coi costumi dell’epoca; ed è stato bene giacché questa commedia appartiene ad un passato che ci appare di già remoto. Quale differenza tra la gioventù 1910 e quella attuale! Ma lasciamo andare i perigliosi raffronti e veniamo alla cronaca della recita.

Giulio Stival è stato un Mario veramente goliardo, impetuoso, spericolato e al tempo stesso, cuor d’oro. Gli è stata buona compagna Laura Carli che, in un ruolo non suo, ha saputo disimpegnarsi con l’intelligente accortezza mostrandosi particolarmente felice nel patetico finale. La parte di Leone era stata affidata ad un attore cinematografico d’una certa rinomanza, Silvio Bagolini. Non oseremmo dire che il Bagolini sia stato un grande Leone; dobbiamo, tuttavia, prendere atto del lodevole impegno di cui l’interprete ha dato prova; anch’egli deve essersi convinto che il salto dal cinema ai teatro è assai più malagevole di quello dal teatro al cinema.
Nel caso poi di Lia Origoni, diremo che il salto dalla rivista al teatro di prosa è addirittura acrobatico. Tuttavia, l’avvenentissima ed elegante cantatrice, l’ha fatto con graziosa disinvoltura si che, al postutto, quello che poteva risolversi in un brutto ruzzolone altro non è risultato che una vezzosa impertinenza. Lia Origoni ha, tuttavia, portato la nota esteticamente più indovinata della recita: ai second’atto è apparsa come una figura escita da un ritratto di Boldini.
Una buona, duplice pennellata e stata quella di Angelo Sivieri e Lisa Zago nei panni dei vecchi e provincialotti genitori del neo dottor Salviati. E giacché siamo in tema di pennellate di sapore impressionistico,non vogliamo dimenticate Leonardo Severini che ha composto assai gustosamente la figuretta del goliardo Carlo. Loderemo, infine, Giusi Dandolo, Lea Muller e Maria Teresa Rossi.

Messa in scena appropriata. Cronaca della serata lietissima. Applausi a scena aperta allo Stival e alla Carli; e molti, molti battimani ad ogni fine d’atto.
Terminata la recita, Lia Origoni, in un indovinato scenario, s’è presentata a cantare, con la sua bella voce e con intelligenti espressioni, alcune romanze del suo repertorio. Ammirata, oltre tutto, la sua bellissima toletta bianca.
Stasera «Addio giovinezza!» inizia il ciclo delle sue indubbiamente fortunate repliche.
b.